Il
processo, una piattaforma perfetta
I vertici del Consiglio centrale islamico svizzero oggi e domani
alla sbarra al Tpf. Un esperto traccia il profilo dell’organizzazione.
di Stefano Guerra
Quelle: laRegione 16.05.2018
Tre esponenti del Consiglio centrale islamico svizzero (Ccis) compaiono
domani e giovedì dinnanzi al Tribunale penale federale (Tpf)
di Bellinzona. Il presidente Nicolas Blancho, il responsabile della
comunicazione Qaasim Illi e Naim Cherni, un tedesco membro dell’associazione
islamica che vive a Berna, sono accusati dal Ministero pubblico
della Confederazione (Mpc) di aver violato la legge federale che
vieta i gruppi ‘al Qaida’, ‘Stato Islamico’
e le organizzazioni associate. Lo psicologo Samuel Althof, esperto
di fondamentalismo religioso, direttore del Centro di competenze
per la prevenzione della violenza e dell’estremismo di Basilea,
traccia il profilo dell’organizzazione fondata nel 2009.
Lunedì, in una conferenza stampa, Blancho, Illi e Cherni
hanno affermato che si stratta di un processo ‘politico’
e che le prove raccolte dall’Mpc sono ‘senza fondamento’.
L’ha sorpresa questa offensiva mediatica?
No, al contrario. Uno degli strumenti principali di cui fa uso il
Ccis è proprio la comunicazione su di sé. Non si lascia
sfuggire occasione per praticarla. Conosco Qaasim Illi da molti
anni [da quando ancora si chiamava Patric, ha raccontato lo scorso
anno Althof al ‘Tages-Anzeiger’, ndr]. Mi spiegò
che il Ccis è stato fondato come un’organizzazione
di lotta (‘Kampforganisation’).
In che senso?
L’organizzazione è nata per difendere in pubblico –
in assetto di combattimento verbale – l’orientamento
dell’islam che rappresenta. Queste persone lottano per i loro
obiettivi, e lo fanno con uno stile aggressivo. Il Ccis viene spesso
attaccato sul piano giuridico. Ma per quanto ne so, è stato
condannato una sola volta:?nella maggior parte dei casi ha ottenuto
ragione davanti ai tribunali. In questo genere di discussione sono
esperti, finora la loro autovalutazione dal profilo giuridico si
è quasi sempre rivelata corretta.
Il processo al Tpf offre al Ccis una preziosa piattaforma mediatica,
un’occasione unica per attirare su di sé l’attenzione
dei mass media.
Sì. E a questo proposito, centrale è il ruolo di vittima:?una
posizione che il Ccis è bravo ad adottare.
Quali sono, a suo avviso, i rischi che i giornalisti dovrebbero
evitare?
Fondamentale è capire bene cos’è davvero il
Ccis e quali sono i pericoli che ne possono derivare. Quelli diretti,
sul piano della violenza, sono praticamente pari a zero: credo che
mettere in relazione il Ccis con la lotta terroristica, con la violenza,
non abbia senso, non sia logico. Del resto i?suoi leader hanno più
volte affermato [l’ultima volta lunedì, ndr] che non
hanno nulla a che vedere con il terrorismo [benché ad esempio,
come ha mostrato il giornalista Kurt Pelda in un’inchiesta
pubblicata sul ‘Tages-Anzeiger’, almeno sette musulmani
vicini all’organizzazione siano partiti per la Siria a combattere
il jihad, ndr].
E i pericoli indiretti?
Il Ccis difende una concezione dell’islam estremamente conservatrice:?il
pericolo deriva dalla possibilità che questa si diffonda
nella società. D’altro canto, in Svizzera esiste la
libertà religiosa:?anche musulmani molto conservatori hanno
il diritto di credere in quello in cui vogliono credere, almeno
fintanto che non attaccano la democrazia e rispettano le leggi.
In Parlamento a Berna c’è chi vorrebbe vietare gruppi
e organizzazioni che diffondono visioni estreme e violente dell’islam.
Cosa ne pensa?
Se volessimo vietare il Ccis, ad esempio, bisognerebbe che questo
avesse una qualità criminale, come la mafia o Al Qaida. Ebbene,
non è il caso. Ma c’è di più: se volessimo
seguire questa strada, sposteremmo un problema ideologico, religioso,
di società, su un piano giuridico. E?la sicurezza verrebbe
meno.
Si spieghi.
Se il Ccis fosse vietato per legge, crederemmo di essere più
sicuri. Ma non sarebbe così. Probabilmente l’organizzazione
assumerebbe un altro nome, lo stesso problema riemergerebbe dunque
in nuove forme:?e noi dovremmo ricominciare da capo. Un’azione
‘preventiva’ sul piano giuridico non sarebbe proficua
per la società. La sicurezza può essere data soltanto
se tutti sanno cosa vuole fare il Ccis, se ognuno può confrontarsi
apertamente – portando i propri valori, le proprie argomentazioni
– con le loro idee. Lo stesso discorso vale per l’estremismo
di destra, e per quello di sinistra.
Cosa si aspetta dal processo al Tpf?
È una discussione giuridica, non ho granché da dire
su questo piano. Auspico però che, come società, prendiamo
questi problemi sul serio, riuscendo a sviluppare adeguati mezzi
preventivi per evitare che si formino organizzazioni a carattere
estremistico.
Suona molto astratto. In concreto?
Ad esempio: insegnare nelle scuole come funziona una democrazia,
che si deve dialogare, imparare la capacità di fare compromessi
ecc. Oppure: partecipare a congressi ed eventi del Ccis, confrontandoci
con la sua ideologia e i suoi argomenti. Dobbiamo assumere tutti
assieme una responsabilità in questo senso, non delegarla
alla giustizia:?altrimenti perderemo la capacità di confrontarci
con simili realtà.
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